RECENSIONE
IO VIAGGIO DA SOLA: il diario di una moderna viaggiatrice
di Tiziana Santoro
 Maria
Perosino, storica dell’arte, curatrice di mostre e scrittrice – prematuramente
strappata alla vita – ci ha lasciato un diario di viaggio che, oltre a essere
un prontuario utile per organizzare un itinerario, è, soprattutto, un’esperienza
autobiografica che rivela numerosi punti di contatto con le donne del nostro
secolo. “Io viaggio da sola” è la condizione naturale di chi – un po’ per
istinto e un po’ per caso – ha dovuto imparare a cavarsela da sola. La storia
di Maria inizia il 26 ottobre del 1998, quando, dopo la morte del suo compagno,
obbedendo al proprio istinto di sopravvivenza, ha iniziato a muoversi alla
ricerca di un nuovo set in cui recitare la vita e di una nuova geografia degli
affetti. Viaggiare da sola non significa essere sola, né agire per ripiego, ma
prendere la propria vita, impacchettarla e tenerla per mano entrando e uscendo
dalle vite degli altri, una comunità di nomadi spinti dal lavoro, dallo spirito
di ricerca a viaggiare e condividere.
Che
si viaggi da sole, con un amante, un amico o un collega, con un’amica o una
manager l’importante è imparare a farsi compagnia, organizzarsi, costruire
abitudini e fare scelte che siano in accordo con se stessi, impadronirsi di un
luogo e credere che sia sempre possibile ricominciare da capo. Viaggiare è per
Maria un atto di fede incrollabile nell’esistenza di un’alternativa alla noia,
alla quotidianità e un esercizio per nutrire la propria autostima. Il modo più
agevole per spostarsi è – secondo Maria – il treno: luogo in cui non si è soli,
ma si può stare da soli. Il vagone è un luogo da abitare, in cui osservare se
stessi mentre si vive e si sfiorano le storie di altri. Maria è, oltremodo,
catturata dal fascino delle stazioni: luoghi in cui le persone sostano e
costruiscono una nuova biografia, diversa dalle consuetudini lasciate a casa.
Con grande ironia e sapiente spirito d’osservazione, Maria racconta le storie e
traccia i profili di chi popola le stazioni; con sagacia, tra tanti, individua
e caratterizza la tipologia del “viaggiatore ansioso”, in preda alla sindrome
da prestazione: sempre in anticipo e con gli occhi fissi sul tabellone,
completamente assorto “dall’azione estrema” di aspettare il treno.
La
stazione è – per Maria – un luogo che alimenta la sua fantasia, l’ipotesi di un’alternativa
di vita, immaginata e sfiorata, in qualche modo vissuta. La vacanza ideale –
secondo la scrittrice – non è solo quella “intelligente”, non può ridursi ad un
itinerario culturale, né ad un pacchetto all inclusive, ma è quella che
soddisfa le proprie curiosità e non obbedisce ai luoghi comuni. Pertanto, è
intelligente stabilire cosa si vuole fare, è legittimo perdere tempo, andarsene
a zonzo, sentirsi liberi. Le uniche tre regole suggerite da Maria sono un
invito a essere curiose, ad assecondare i cinque sensi a dedicarsi del tempo. I
viaggi di Maria da adulta sono ben diversi da quelli fatti in gioventù con la
famiglia. L’evento, l’attesa, i preparativi e gli interminabili spostamenti in
automobile appartengono solo ai ricordi d’infanzia, per Maria il significato di
un viaggio non consiste nel chiudere la porta di una casa, bensì nell’aprire
una porta su nuovi scenari e paesaggi.
Quando
il viaggio diventa consuetudine, in Maria subentra la consapevolezza di vivere
sempre in trasferta e di essere capace “di far casetta ovunque”, anche alla
fermata del tram, infatti, c’è tempo per leggere un libro, chiamare un’amica,
sistemarsi la sciarpa, specchiarsi nel vetro, ripassare l’eye-liner. Maria
vive, viaggia, costruisce la sua nuova famiglia di affetti, si nutre dell’esperienza
altrui, gode del buon cibo e delle risorse che le città che visita le offrono,
eppure le sfugge il finale del suo racconto. Le sfuggono i sentimenti, le paure
e le incertezze di una donna capace di “addomesticare l’altrove e portarselo a
casa” ed è a questo punto che il viaggio assume quasi i caratteri di un “rito d’iniziazione”
che scandisce il passaggio all’età adulta. Maria, quando si osserva è una
bambina al centro di una foto con due genitori sullo sfondo, lo sguardo
curioso, impaurito e un pugno dritto verso il futuro.
Cosa
prova e cosa sente Maria? Nemmeno se lo chiede, si era trovata su una strada e
aveva iniziato a camminare naturalmente, ad andare avanti, indaffarata, senza
aspettare nessuno, né che qualcosa accadesse, semplicemente, proseguiva a ritmo
di musica e costruiva per sé un passato affollato di luoghi, facce, amici,
complici e amori. Come nella fiaba “La regina delle nevi” il viaggio è
rinascita, è l’impresa compiuta da una protagonista paurosa e spaventata, che
non ha esitato a partire da sola e a contare solo su se stessa e sulle proprie
capacità di relazione. Accadde, così, che benché lei non ne avesse percezione,
gli altri nutrissero la ferrea percezione della sua forza e del suo valore.
Maria, come la protagonista della fiaba, ha camminato per il mondo con le sue
sole gambe “alcuni tratti li ha percorsi con eleganza, altri con scarpe ed
abiti rustici, altri a piedi nudi”, ma tutto ha contribuito alla sua crescita
personale e umana.
La
scrittrice, consapevole del prezzo da pagare, per un secondo sembrava che
volesse interrogarsi sull’utilità della sua esperienza e se sia valsa la pena
di attraversare tante difficoltà e dolori per acquisire la consapevolezza di
essere diventata una donna forte, adulta e caparbia. La domanda, tuttavia, è
presto accantonata, in una vita fatta di avvenimenti spiacevoli e di
opportunità, Maria ha preferito imparare a viaggiare e stare al mondo
nutrendosi di quei dettagli che la rendono felice. Persino l’opportunità degli
incontri, la selezione delle persone da trattenere o da lasciare andare, hanno
coinciso col suo modo di abbracciare la vita senza riserve, facendo di ogni
incontro l’occasione per scegliere di circondarsi di veri affetti e stimati
amici.
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