PERSONAGGI
Murakami: Uno scrittore col vento in faccia
di Tiziana Santoro
 Murakami
Haruki, autore de “L’arte di correre”,
definisce la sua opera “un soliloquio”, “un memoriale equilibrato e delicato”,
a cui ha dedicato 10 anni di lavoro accurato e meticoloso. La sua opera più rappresentativa?
Difficile da dire, perché ogni lavoro è sempre frutto del suo sudore e della
sua oculatezza, ma, certamente, è l’opera che più ci parla di lui, della sua
filosofia di vita, dell’arte di correre, di quella dello scrivere e del suo
modo di stare al mondo.Murakami
Haruki, dopo aver condotto a lungo una “vita aperta” e aver gestito con
successo un ristorante, ha pensato di condurre una “vita chiusa” e di dedicarsi
a ciò che più era nella sua natura: la scrittura e la corsa. Lo scrittore-maratoneta
ha improntato tutta la sua esistenza sullo sforzo fisico necessario per
realizzare i suoi obiettivi. L’obiettivo di Murakami è sempre stato quello di
andare oltre il proprio limite, di imparare dagli insuccessi e dalle difficoltà
e di accettarsi così com’è, “come parte di un paesaggio naturale”. L’autore –
attraverso un allenamento faticoso e costante – ha attraversato il dolore, l’insuccesso,
l’ansia, la delusione, ma ha sempre rideterminato i suoi obiettivi, avendo ben
chiara quella scala di valori che è essenza della sua natura umana. Se il
dolore è parte della vita e non si può evitare – afferma Murakami – la
sofferenza è opzionale, pertanto, gli uomini possono coltivare la gioia,
perseverando nelle cose che amano. Murakami è, talvolta, un Rocky Balboa messo
a tappeto, è più attento a descrivere gli insuccessi che i successi, perché ha
capito la lezione più importante della vita, quella per cui determiniamo chi
siamo quando impariamo dai nostri sbagli e che quando un ciclo si compie, l’unico
antidoto per superare “l’abbattimento del corridore” è “avere un piano B”,
ridefinire gli obiettivi, “guardare il paesaggio e godersi la corsa”.
Il
corridore, sottolinea Murakami, così come lo scrittore e l’uomo di successo,
deve imparare a gestire la quantità e la qualità del proprio talento, ma anche
coltivare la concentrazione e la perseveranza. La sfida maggiore con se stesso
è quella di imparare a tenere a bada il “labirinto della coscienza” fatta di “tenebre,
angoli morti, suggestioni” e di imparare a sfruttare, consapevolmente, “l’esperienza”
e “l’istinto”. Quella indicata dallo scrittore è la via della consapevolezza,
che si può acquisire solo orientando “lo sguardo verso se stessi”, senza farsi “distrarre
dal cielo” e dai condizionamenti esterni. Vivere pienamente – asserisce
Murakami – significa sforzarsi, coraggiosamente, di vincere la fatica e
comprendere che “la qualità del vivere
non si trova in valori misurabili in voti, numeri e gradi, ma è insita nell’azione
stessa, vi scorre dentro”. Ciò che veramente impreziosisce la vita di
ciascun uomo – asserisce lo scrittore-maratoneta – non è l’azione, la quale può
non concretizzarsi in un successo, ma l’impegno che in essa vi è profuso,
poiché conta, realmente, solo ciò che si percepisce nel cuore. Scrive Murakami:
“Anche ammettendo che compiamo soltanto
una serie di atti vuoti, come per l’appunto versare acqua in un vecchio vaso forato,
per lo meno resta il fatto che ci impegniamo.
Non importa se otteniamo
dei risultati o meno (…) per la maggior parte di noi è qualcosa che non si
vede, ma che si percepisce nel cuore. E, spesso, le cose che hanno veramente
valore si ottengono attraverso gesti inutili. Le nostre azioni non saranno
forse proficue, ma di sicuro non sono stupide”. La letteratura,
come la corsa, è per Murakami “spontanea,
vigorosa, forza vitale che tende naturalmente in avanti”; l’atto dello
scrivere è come “arrampicarsi sui monti
impervi, scalare pareti rocciose e, al termine di una lunga lotta accanita,
giungere in vetta”. L’energia non superficiale, che spinge all’azione lo
scrittore-corridore, è quella stessa “forza fisica” che dissolve gli “elementi
tossici interni”. Murakami è uno scrittore-corridore metafisico che crea il
vuoto nella testa ed è, esclusivamente, tutt’uno con le azioni che compie. “Murakami
è” perché corre, perché scrive. L’individualismo di uno scrittore che corre da
solo, quanto spazio lascia agli altri? Se la condizione di solitudine è
fondamentale per lo scrittore – così come per l’uomo che impara solo attraverso
“la propria carne” – l’incomprensione e le ferite che gli altri infliggono,
sono tratto imprescindibile dell’unicità che contraddistingue ciascun essere
umano. Tuttavia, comprende Murakami, “i
dolori e le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo da pagare per la
propria indipendenza”.
Ciò
che rimane è la gratitudine infinita verso chi ci ha mostrato altri paesaggi e
verso noi stessi, ogni volta che adoperiamo la nostra personalità e originalità
per vedere con occhi propri quello stesso scenario. Ciò che più unisce gli
uomini – secondo Murakami – è la compassione e la solidarietà, quella che
scatta tra simili, perché ognuno, alla fine dei conti, è un maratoneta della
vita, che si sforza di raggiungere il traguardo, dando il meglio di sé. Ciò che
realmente conta non è il tempo che s’impiega, né lo stile, né le gratificazioni
o ricompense che potrebbero derivarne. L’importante per l’uomo e il maratoneta
è provarci con gioia e poter dire: “Se
non altro, fino alla fine non ho camminato”.
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