FIRENZE
Il teatro-canzone di Neri Marcorè: per tornare a pensare
di Tiziana Santoro
 Successo
di pubblico al Teatro della “Pergola” di Firenze per l’attore Neri Marcorè. L’artista
marchigiano ha portato in scena il suo ultimo lavoro “Quello che non ho”.
Ancora una volta, scegliendo la formula del teatro-canzone, Neri Marcorè e il
regista Giorgio Gallione hanno armonizzato, sapientemente, musica, canto e
parole. Il pretesto autobiografico da cui parte l’input narrativo è scandito
dall’anno 1995, quando Neri, che si trovava a Napoli per assistere al concerto
di De Andrè, ha iniziato a leggere con interesse l’inserto dedicato agli “Scritti corsari” di Pier Paolo
Pasolini, editi sul “Corriere della Sera”. Gli intellettuali non-allineati
della sua giovinezza, offrono a Neri il pretesto per analizzare il passato e
osservare il presente con occhi critici. In un tempo in cui gli uomini
producono “orrori e miserie”, l’artista cerca “un tempo nuovo” e sottopone all’attenzione
degli spettatori quei fatti di cronaca nazionale e internazionale, di fronte ai
quali si propone d’innescare un processo di autocritica-sociale che coinvolga,
attivamente, le coscienze.
L’uomo
di oggi – ammonisce l’attore – deve osservare la lumaca, la quale per costruire
il suo guscio aggiunge spirali dalla più piccola alla più grande, ma poi si
ferma e procede dalla più grande alla più piccola. Se non ci fosse questa
inversione di tendenza – sottolinea Marcoré – il suo guscio avrebbe un peso 16
volte maggiore e la lumaca rischierebbe di morire schiacciata. Allo stesso
modo, l’uomo dovrebbe avere un approccio etico verso i consumi e le relazioni
con gli altri. Marcorè guarda ai fatti del presente ed usa la satira,
dissacrante e dai toni grotteschi, quando profetizza l’avvento di un sesto
continente fatto di plastica e quando denuncia le guerre civili causate dall’acquisizione
del coltan (indispensabile per produrre telefonini e playstation). Non mancano
le sferzate ai politici del nostro tempo, impegnati in Parlamento a chiarire
che fine abbia fatto Clarabella, gadget di una nota marca di acqua minerale,
indispensabile per il completamento della collezione. I problemi di oggi non
sono solo legati al consumismo e causati da un vuoto politico, pesano sulla
convivenza pacifica diffidenze e barriere morali verso lo straniero e chi, solo
perché diverso, viene visto come una minaccia, sempre che – ammonisce Neri –
non acquisisca un ruolo nello show business.
A
stemperare i toni, oltre all’ironia e alla presenza scenica dell’attore
marchigiano, interviene l’interpretazione
canora dello stesso e dei chitarristi-cantori: Giua, Pietro Guarracino e Vieri
Sturlini, che hanno attinto al “registro poetico” delle “anime salve” che
popolano il repertorio di De Andrè per ricordare al pubblico che si può uscire
dal coro e fare la differenza. Neri Marcorè, alla fine dello spettacolo, congeda il suo pubblico con
una speranza, la stessa auspicata da Pasolini che sognava il ritorno delle
lucciole, sopraffatte dall’inquinamento. Il ritorno delle lucciole è il nuovo
rinascimento che Neri Marcorè desidera per l’Italia; è la speranza che De Andrè
riponeva nella “ricerca di una goccia di splendore”. Un augurio, quello dell’attore,
ma anche il richiamo ad un’assunzione di responsabilità da parte del pubblico.
Il
teatro-canzone di Marcorè e Gallione si è rivelato una formula vincente
attraverso cui innescare un processo di autocritica-sociale, stemperando e
quasi sublimando le problematiche del nostro tempo attraverso il repertorio di
un cantautorato che è poesia in musica. E chissà, che con l’apporto di tutti,
il confine scenico invalicabile pensato da Guido Fiorato e l’artificialità
delle luci a neon verdi e viola di Aldo Mantovani, non si tingano di colori
forti e non cedano il passo ad una cornice naturalistica luminosa, in cui
contenere quel tronco d’albero solitario che, per tutta la durata dello spettacolo, si è imposto al centro del
palco, quasi a voler ricordare al pubblico la sua solitaria e fragile
condizione.
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