SOCIETÀ GIARRESE DI STORIA PATRIA E CULTURA
La guerra delle donne: l’emigrazione femminile in Sud America e la Grande Guerra
di Redazione
 Si
è parlato di “La guerra delle donne: l’emigrazione
femminile in Sud America e la Grande Guerra”, nella sede della Società
Giarrese di Storia Patria e Cultura, con il dott. Alberto Micalizzi, corrispondente
“Progetto Sicilia nel Mondo”. La relazione di Micalizzi è stata preceduta
dal prof. Mario Tropea che ha parlato di “Migranti,
Esuli, Profughi nella Letteratura” e conclusa dall’intervento del vicedirettore di “MeridioNews”, dott. Salvo Catalano,
“L’immigrazione dramma contemporaneo”.
I lavori sono stati aperti dal
preside Carmelo Torrisi che ha salutato gli intervenuti e letto una breve
biografia del dott. Micalizzi, sono seguiti i saluti istituzionali portati dai
presidenti giarresi: prof.ssa Anna Castiglione, “FIDAPA”, e dal prof. Nicolò
Mineo, “Società di Storia Patria”. L’evento
culturale è stato curato e organizzato in sinergia da: “Società di Storia
Patria”, “FIDAPA” e Comune di Giarre.
Ecco
uno stralcio della relazione del dott. Micalizzi. Oggi ci soffermiamo sulle
donne emigrate in Sud America che vollero organizzarsi per supportare i propri
uomini e i connazionali con la creazione di numerosi comitati nei Paesi d’adozione.
In Argentina, ad esempio, il “Comitato Italiano di Guerra” fu costituito nel
maggio 1915, presso il Teatro “Vittoria” di Buenos Aires, seguito, dopo qualche
tempo, da quello di “La Plata”. Questo organismo, che aveva in via prioritaria
l’obiettivo dell’assistenza morale alle famiglie dei richiamati, sviluppò un’intensa
attività assistenziale mediante la consegna di sussidi e tessere alimentari
alle famiglie di emigranti più indigenti e il supporto nella scrittura delle
lettere per le analfabete che desideravano scrivere al proprio congiunto.
Inoltre, il Comitato procedette all’invio di lettere e pacchi ai prigionieri in
Austria per il tramite della Croce Rossa Internazionale e alla raccolta e
distribuzione di indumenti per le famiglie più bisognose, colpite
finanziariamente dalla partenza del capofamiglia, unico sostentamento per
coloro che erano rimasti oltreoceano.
Il
Comitato di Buenos Aires provvide anche alla vendita di cartoline patriottiche
e di “braccialetti della Vittoria” (forgiati con l’acciaio dei cannoni
sottratti agli austriaci) e all’apertura di libretti di risparmio per i più
giovani presso il Banco de Italia Y Rio de La Plata, allo scopo di creare un
piccolo capitale da utilizzare al raggiungimento della maggiore età. A seguito
della rotta di Caporetto e dell’invasione del Friuli e del Veneto, i Comitati
di Buenos Aires e di La Plata provvidero alla raccolta e all’invio di una
grande quantità di indumenti e di scarpe, in una rinnovata unione spirituale
con le popolazioni italiane del Nord-Est, terra di grande emigrazione tra la
fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
In
Brasile, il “Comitato femminile di San Paolo” si formò, invece, il 2 giugno
1915, per iniziativa di Elisabetta Ricciardi, consorte del Console d’Italia, e
delle donne appartenenti alle più rinomate case imprenditoriali di origine
italiana: Crespi, Materazzo, Rossi e Puglisi-Carbone. Cassa di risonanza delle
attività del Comitato furono i maggiori organi di stampa della colonia
nazionale, in particolare “Il Pasquino Coloniale” e il “Fanfulla”, quest’ultimo
quotidiano edito dall’ex anarchico Vitaliano Rotellini, padre del sottotenente
Amerigo, morto nell’agosto 1917 sull’altipiano della Bainsizza.Il
Comitato in argomento si strutturò su 5 sezioni che focalizzarono le proprie
attività nelle visite alle famiglie, nella lavorazione dei materiali da inviare
in Italia, nella promozione di incontri benefici (come la “Giornata del
Ventaglio” e il fondo “Goccia di Latte” a favore dei minori e degli infermi più
bisognosi), nella raccolta di offerte per il confezionamento degli indumenti
invernali delle truppe e, infine, nell’invio di piccoli doni ai feriti.
La
struttura si dotò, inoltre, di un consultorio medico, concesse sussidi per il
viaggio e biancheria per le famiglie che rientravano in Italia a seguito del
parente richiamato alle armi, e organizzò un laboratorio per il confezionamento
del vestiario, ove vennero impiegate le familiari dei soldati in cambio di un
sussidio giornaliero. Venne anche strutturato un sistema di supporto scolastico
a favore degli studenti indigenti con l’aiuto dell’Istituto medio “Dante
Alighieri”, dell’Orfanotrofio “Dante Alighieri” e di diversi enti di istruzione
privata.Nell’ultimo
anno di guerra, il comitato femminile, che raccolse in totale oltre un milione
e centomila lire dell’epoca, sopravanzò in iniziative e raccolta fondi quello
maschile, ben più strutturato e supportato dai grandi imprenditori
italo-brasiliani. I malumori e le invidie che da ciò derivarono e che emersero
anche nella stampa di lingua italiana non sminuirono, però, il grande lavoro
svolto dalla comunità femminile a favore dello sforzo bellico nazionale.
In
Uruguay, il “Comitato Signore Pro Croce Rossa Italiana e famiglie dei
richiamati” si costituì a Montevideo il 27 maggio 1915 sotto la presidenza
onoraria della s.e. marchesa Dura Maestri Molinari, moglie dell’ambasciatore d’Italia.
Furono costituite tre sezioni con il compito di sovraintendere alle attività
più specificatamente ricollegabili alla Croce Rossa Italiana, delle quali una a
favore delle famiglie dei richiamati, denominata la “Beneficiate”. La
caratteristica più importante del Comitato fu che le tre sezioni furono
sottoposte, rispetto alla similare struttura presente a San Paolo del Brasile,
a un più formale controllo da parte della Regia Delegazione d’Italia, nella
persona del comm. Giuseppe Fiocchi e della Croce Rossa Italiana nella figura
del dott. Antonio Lebano.
In
conclusione, lo sforzo profuso durante il conflitto fu di utilità anche nello
sviluppo di una maggiore identità di genere, poiché portò la donna ad
acquisire, anche oltre oceano, una sfera pubblica derivante dalle attività
svolte a favore dei citati Comitati. In Sud America, il seme dell’emancipazione
trovò, nel corso degli anni, terreno fertile, soprattutto, nel campo delle
aspirazioni politiche. Così, Enrica Barzillai-Gentili volle promuovere, sul
periodico “Pro Patria” di Victoria (Brasile), il riconoscimento dell’elettorato
attivo e passivo nelle amministrazioni, mentre Julietta Samperi (sesta donna
laureata in medicina, in Argentina) fu candidata con il Partito Femminista
Nazionale, nel 1924 e nel 1926.
Il
grande bagno di sangue che sommerse l’Europa all’indomani dell’attentato
mortale di Sarajevo fu, certamente, foriero, anche nei paesi sudamericani dove
fu ampia l’emigrazione italiana, di una maggiore accelerazione dell’emancipazione
femminile rispetto ai canoni culturali e sociali ereditati dall’Italia, ma il
processo fu più lungo e contrastato rispetto a quello che il mondo femminile
subì nell’America del Nord. Negli Stati Uniti, in particolare, il contatto con
una società maggiormente caratterizzata dall’individualismo nei rapporti
sociali, compresi quelli legati al mondo del lavoro, permise alle giovani
donne, figlie della prima generazione di emigrati, di entrare ben presto in
contrasto con i genitori, poiché, a contatto anche con culture diverse da
quelle d’origine, iniziarono a contestare i rapporti di autorità e di
subordinazione.
Dunque,
il primo conflitto mondiale, a causa di conseguenti, maggiori necessità
produttive che imposero nelle fabbriche un più ampio impiego della forza lavoro
femminile, rese ancora più pressante da parte della donna la volontà d’inserimento
nella nuova società e l’esigenza dell’acquisizione di uno stile di vita diverso
da quello vissuto all’interno del nucleo familiare d’origine. Una storia ancora
tutta da raccontare, quindi, che merita maggiori approfondimenti e ricerche,
affinché non solo non sia dimenticato lo sforzo condotto dalle donne impegnate
nei vari comitati, ma sia reso omaggio a tutte quelle che della guerra subirono
gli effetti terribili di un conflitto che fece, solo per la parte italiana, 600
mila morti.
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