RECENSIONE
Giuseppe Lo Conte – Vita nel lager 1243
di Alfonso Saya
 Ho letto un
libro avvincente, un vero capolavoro. L’Autore, Giuseppe Lo Conte, un nostro
concittadino, non aveva, affatto, l’intenzione di pubblicarlo, non aveva
velleità letterarie. Sono pagine di un diario copiate da pezzi di cartaccia che
si trovavano in un vecchio, sudicio e sdrucito zaino militare. L’Autore, nato
ad Antillo (Messina), il 21 marzo del 1924, prigioniero nel lager tedesco n.
1243, nell’ultima Guerra Mondiale, l’ha scritto nella giovane età di 19 anni,
su dei pezzi di carta strappata dai sacchi di cemento, ora con il pennino, ora
con la matita, ora, addirittura, con la punta di uno stecco intinto in qualche
miscuglio liquido, colorato. Questo libro è stato definito “una meraviglia”
perché si scopre la crudeltà della guerra, con gli occhi con gli occhi di un
ragazzo che ha visto e sofferto la guerra, la sventura delle sventure, il più
grande male dell’uomo e che ci viene proprio dall’uomo.
Forse non vi è che una
sola guerra santa ed è la guerra alla guerra! È un diario scritto nell’inferno
di un lager, con l’inchiostro del sangue, in un clima di terrore, di immense
sofferenze e di fame. In questo diario, un ragazzo, a cui dovrebbe sorridere la
vita che ha tutta davanti, racconta invece, in tutta la sua cruda realtà, la guerra.
Tra le sue spine, è sbocciata la rosa dell’Amore ma non l’ha potuta cogliere…
perché la guerra spietata, l’ha recisa e lui ha sentito quella parola che non
voleva mai sentire e che i tedeschi dicevano spesso: “Annì caput”. Il grande
amore del ragazzo messinese, il suo sogno gli è stato strappato. Quello che c’era
fra lui e la ragazza tedesca, è qualcosa di così grande, così afferma il nostro
concittadino, che difficilmente può nascere tra esseri tanto diversi di razza e
di lingua.
“Se penso – così dice
ancora testualmente – alle sue premure,
al suo altruismo all’amore che mi ha dimostrato apertamente, ogni giorno di
più, se penso che, durante i bombardamenti, è rimasta al mio fianco anziché
mettersi in salvo”. Appena saputo della sua morte, sentì tutto il mondo
crollare e si rifugiò in quell’angolo del vagone dove hanno trascorso le ore
più belle e più drammatiche, durante i bombardamenti. È un continuo andirivieni
in quell’angolo, si sente guidato da una forza irresistibile e sente una voce
che gli dice: “Vieni, ti sto aspettando!”.
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