RECENSIONE
Assolo: un film pensato per le donne
di Tiziana Santoro
 Dopo il
fortunato esordio con “Ciliegine” che
gli è valso la candidatura al David di Donatello e al Nastro D’Artento, Laura
Morante ci riprova. L’attrice nei panni di interprete, registra e
sceneggiatrice in collaborazione con Daniele Costantini, dà vita ad “Assolo – si può essere felici anche fuori
dal coro. Il film, nelle sale cinematografiche dal 5 gennaio, prende in
prestito dal canone della commedia il modulo espressivo attraverso cui offrire
uno squarcio significativo delle problematiche sociali del nostro tempo, le
quali attengono alla visione maschilista del ruolo della donna e alla tematica
della famiglia allargata e delle idiosincrasie su cui essa si erge. La
protagonista è Flavia una donna costantemente messa in crisi dal contesto
affettivo e sociale di appartenenza: dopo il fallimento dei suoi due matrimoni,
si ritrova a vivere le complessità di una famiglia allargata e a condividere
cene, pranzi e vissuto quotidiano anche con le nuove compagne dei suoi ex
mariti. Nel difficile contesto Flavia è l’esclusa e al tempo stesso l’inetta:
cerca approvazione e amore, ma non riesce ad ottenerli; ambisce all’emancipazione,
ma non ha abbastanza fiducia in se stessa. Così accade che la protagonista
tenta un percorso psicanalitico che la aiuti a riscattarsi e a trovare una dimensione
indipendente e più serena della sua vita. La prospettiva psicanalitica
capovolge le dinamiche e così si scopre che l’individuo sano è proprio Flavia
che si sforza di migliorare se stessa e non cede a dinamiche di coppia insane e
fondate sulle patologie dei singoli individui. La regista illumina con la
cinepresa, magistralmente, le dinamiche perverse di personaggi irrisolti che
cercano il completamento nell’altro e che cementano unioni malate e per questo
destinate anch’esse a finire, per lasciare spazio a nuove relazioni
fallimentari. La visione distorta della coppia che gli attori interpretano è
essa stessa a mettere in crisi i valori e l’individualità di Flavia, voce fuori
dal coro, e per questo mal giudicata e schernita da chi, piuttosto che indagare
le proprie ragioni del cuore, preferisce imporre il proprio bagaglio di fallaci
certezze. Domina per tutta la durata del film la visione maschilista della
donna sopraffatta, ad oggi, dai modelli stereotipati che il mercato dell’immagine
propone. Con verve e perizia l’attrice Angela Finocchiaro interpreta l’amica di
Flavia, abbandonata dal marito, rifiutata dalla figlia e messa da parte dalla
società, cerca disperatamente di recuperare una posizione e un ruolo nella
comunità, ma l’ossessione per la chirurgia estetica e per l’età che avanza la
spinge irrimediabilmente verso la depressione e la solitudine. La denuncia di
Laura Morante regista è quella verso una società per cui l’individuo, la sua
professionalità e il suo valore soggiacciono al modello stereotipato e all’illusione,
svuotandone l’essenza e la sostanzialità. Una critica feroce, quella della
Morante, contro le dinamiche socio-esistenziali del nostro tempo, una lotta
contro i cliché delle verità assolute di una massa che oppone l’assenza dei valori
ai valori stessi del vivere. Magistrale l’interpretazione di attori di mestiere
tra cui Francesco Pannofino, Antonello Fassari, Emanuela Grimalda, Lambert
Wilson, Piera Degli Esposti, Marco Giallini, Donatello Finocchiaro e Carolina
Crescentini. Unica pecca è il finale, da un film che dissacra con umorismo e
sarcasmo i luoghi comuni, lo spettatore non si aspetta che a far da padrone,
nella scena conclusiva del film, sia proprio il luogo comune per eccellenza.
Accade, infatti, che al termine del suo percorso di consapevolezza e presa di
coscienza del proprio valore individuale, Flavia approda comunque all’amore e
trova riparo nell’unione di coppia. La Morante denuncia la malattia del nostro
tempo, ma vuole rassicurare lo spettatore mostrando che la guarigione è
possibile. Per concludere il suo capolavoro la regista ha scelto il più banale
lieto fine sentimentale, forse per ricordare al pubblico che comunque vada è l’amore
che conta e che una relazione sana può nascere solo tra individui sani, risolti
e realizzati.
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