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 venerdì 24 giugno 2016

PALERMO

Ricordati i 100 anni di Aldo Moro

di Giuseppe Campione


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Penso che sia un fatto di portata storica che L’Assemblea regionale, su proposta dell’Associazione degli ex parlamentari, abbia voluto dare un nome di eccezionale significato alle due grandi sale di rappresentanza e di dibattito di Palazzo dei Normanni: la Sala gialla ricorderà per sempre il presidente Pier Santi Mattarella, la Sala rossa Pio La Torre, segretario del Pc siciliano, due parlamentari esemplari nel loro impegno politico e civile, uccisi dalla mafia, due nostri eroi, morti, come molti altri “per rendere più gentile il destino della nostra terra”, e che avevano dato il meglio di sé in politica e nelle aule parlamentari. Pier Santi, ucciso quando il Signore rendeva lieta la sua giovinezza, lo ricordiamo come il Presidente dalle carte in regola, tutto proteso sul piano dei comportamenti, in una stagione, che fu della speranza e della responsabilità, che lo vide sperimentatore di un cambiamento fattibile, quindi possibile. Utopia? Perché no, se la intendiamo come progetto condizionato dalla realtà che vuole rovesciare, con il realismo di chi lavora per cambiare le cose.

Pio La Torre, che quando sembrava difficilissimo per storici impedimenti ed inveterata mentalità, riuscì a formulare, presidente D’Angelo, dopo Ciaculli, una linea e strumenti antimafia che servissero a rimodellare i modi di convivenza civile e di funzioni trasparenti della politica. Come dimenticare che la sua relazione di minoranza alla commissione nazionale antimafia segnò per la prima volta in assoluto un modo di leggere presenza e comportamenti mafiosi, compiutamente, con strumenti adeguati, superando le tentazioni meramente discorsive e/o liberatorie, che pure si andavano manifestando, e pervenendo poi , con Rognoni, alla legge sulla confisca dei beni e all’articolo 416 bis che si rivelarono essenziali. “Fu la dura lezioni dei fatti”, ricorda lo storico Lupo, a rendere possibili decisioni che si aspettavano da tempo immemorabile. Nell’aula Pier Santi Mattarella si è parlato di un altro grande martire della storia della nostra Repubblica, in occasione del suo centenario dalla nascita, Aldo Moro, che appunto di Pier Santi fu maestro.

Quanti di noi non ricordano che accanto al tavolo di lavoro del presidente Mattarella, qui accanto, a palazzo D’Orleans, c’era un ritratto di Moro con scritta una frase, quasi un testamento:“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Appunto per questo vorrei andare ad un vecchio documento firmato anni fa da intellettuali e politici siciliani sulla rivista Segno che proponevano di introdurre nello statuto che allora sembrava in via di “pensosi” aggiustamenti: “La Sicilia ripudia la mafia e impegna le istituzioni a combatterla senza tregua” . Appunto, avrebbe detto Moro a Zaccagnini, pochi giorni prima di morire: “Si riflette guardando a forme nuove. La verità è che parliamo di rinnovamento e non rinnoviamo niente […]. Perché qualche cosa cambi dobbiamo cambiare anche noi. […]. Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la nostra società, la rende inquieta. […] Una società che voglia una strategia propria in un limpido disegno di giustizia, di eguaglianza, di autentico servizio dell’uomo”.

Di Aldo Moro parleranno Rino La Placa presidente degli ex parlamentari, che fu vicinissimo a Pier Santi, Pier Luigi Castagnetti che ha fatto tesoro della lezione di Dossetti e poi, anche da parlamentare europeo, dopo aver lavorato con De Mita e a Martinazzoli, fece sua la dottrina per l’Europa di Jacques Delors. Ma soprattutto parlerà di Moro, Ciriaco De Mita, sicuramente un maestro che cercò di rendere abitabile politicamente la Sicilia , in un passaggio oltremodo difficile. Di lui potrei parlare a lungo, ma riprendo solo un insegnamento fondamentale sulla politica come filosofia del perché, dei fini, dei bisogni dell’uomo, del senso della cittadinanza, del controllo di società rispetto ai modi di raggiungere i fini. E infine la sua introduzione da presidente della Dc ad Assago: “Cari amici, credo di avere l’intera consapevolezza che siamo qui non solo per una celebrazione, ma per una difficoltà”. Appunto capendo Moro capiremo le difficoltà, “il tempo che ci è stato dato da vivere”.


 


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