PALERMO
Ricordati i 100 anni di Aldo Moro
di Giuseppe Campione
 Penso che sia un
fatto di portata storica che L’Assemblea regionale, su proposta dell’Associazione
degli ex parlamentari, abbia voluto dare un nome di eccezionale significato
alle due grandi sale di rappresentanza e di dibattito di Palazzo dei Normanni:
la Sala gialla ricorderà per sempre il presidente Pier Santi Mattarella, la
Sala rossa Pio La Torre, segretario del Pc siciliano, due parlamentari
esemplari nel loro impegno politico e civile, uccisi dalla mafia, due nostri
eroi, morti, come molti altri “per rendere più gentile il destino della nostra
terra”, e che avevano dato il meglio di sé in politica e nelle aule
parlamentari. Pier Santi, ucciso quando il Signore rendeva lieta la sua
giovinezza, lo ricordiamo come il Presidente dalle carte in regola, tutto
proteso sul piano dei comportamenti, in una stagione, che fu della speranza e
della responsabilità, che lo vide sperimentatore di un cambiamento fattibile,
quindi possibile. Utopia? Perché no, se la intendiamo come progetto
condizionato dalla realtà che vuole rovesciare, con il realismo di chi lavora
per cambiare le cose.
Pio La Torre, che quando sembrava difficilissimo per
storici impedimenti ed inveterata mentalità, riuscì a formulare, presidente D’Angelo,
dopo Ciaculli, una linea e strumenti antimafia che servissero a rimodellare i
modi di convivenza civile e di funzioni trasparenti della politica. Come
dimenticare che la sua relazione di minoranza alla commissione nazionale
antimafia segnò per la prima volta in assoluto un modo di leggere presenza e
comportamenti mafiosi, compiutamente, con strumenti adeguati, superando le
tentazioni meramente discorsive e/o liberatorie, che pure si andavano
manifestando, e pervenendo poi , con Rognoni, alla legge sulla confisca dei
beni e all’articolo 416 bis che si rivelarono essenziali. “Fu la dura lezioni
dei fatti”, ricorda lo storico Lupo, a rendere possibili decisioni che si
aspettavano da tempo immemorabile. Nell’aula Pier Santi Mattarella si è parlato
di un altro grande martire della storia della nostra Repubblica, in occasione
del suo centenario dalla nascita, Aldo Moro, che appunto di Pier Santi fu
maestro.
Quanti di noi non ricordano che accanto al tavolo di lavoro del
presidente Mattarella, qui accanto, a palazzo D’Orleans, c’era un ritratto di
Moro con scritta una frase, quasi un testamento:“Questo Paese non si salverà, la
stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non
nascerà un nuovo senso del dovere”. Appunto per questo vorrei andare ad un
vecchio documento firmato anni fa da intellettuali e politici siciliani sulla
rivista Segno che proponevano di introdurre nello statuto che allora sembrava
in via di “pensosi” aggiustamenti: “La Sicilia ripudia la mafia e impegna le
istituzioni a combatterla senza tregua” . Appunto, avrebbe detto Moro a
Zaccagnini, pochi giorni prima di morire: “Si
riflette guardando a forme nuove. La verità è che parliamo di rinnovamento e
non rinnoviamo niente […]. Perché qualche cosa cambi dobbiamo cambiare anche
noi. […]. Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la nostra società, la
rende inquieta. […] Una società che voglia una strategia propria in un limpido
disegno di giustizia, di eguaglianza, di autentico servizio dell’uomo”.
Di
Aldo Moro parleranno Rino La Placa presidente degli ex parlamentari, che fu
vicinissimo a Pier Santi, Pier Luigi Castagnetti che ha fatto tesoro della
lezione di Dossetti e poi, anche da parlamentare europeo, dopo aver lavorato
con De Mita e a Martinazzoli, fece sua la dottrina per l’Europa di Jacques
Delors. Ma soprattutto parlerà di Moro, Ciriaco De Mita, sicuramente un maestro
che cercò di rendere abitabile politicamente la Sicilia , in un passaggio
oltremodo difficile. Di lui potrei parlare a lungo, ma riprendo solo un
insegnamento fondamentale sulla politica come filosofia del perché, dei fini,
dei bisogni dell’uomo, del senso della cittadinanza, del controllo di società
rispetto ai modi di raggiungere i fini. E infine la sua introduzione da
presidente della Dc ad Assago: “Cari
amici, credo di avere l’intera consapevolezza che siamo qui non solo per una
celebrazione, ma per una difficoltà”. Appunto capendo Moro capiremo le
difficoltà, “il tempo che ci è stato dato da vivere”.
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